Per la maggior parte di noi occidentali, la guerra tra Ucraina e Russia, è stato uno sconvolgente scroscio, improvviso come un temporale estivo, grondante di angoscia, paura e di una forte sensazione di impotenza innanzi a politici mascherati da pacifisti o guerrafondai.
Il problema è che, a differenza di un temporale estivo, il cui ingombro in termini di tempo è limitato, qui non si percepiscono la durata e le scorie che resteranno nel tessuto sociale delle popolazioni coinvolte.
In realtà, per tutti coloro che studiano la storia, la guerra è una tragica conseguenza di un percorso nel quale stupidità, arroganza e deliri di onnipotenza si ripetono con una ciclica e nefasta ritualità da migliaia di anni.
Tutti pensiamo di sapere da che parte stanno i cattivi, i buoni e quasi sempre in una guerra all’uomo piace stilare la classifica delle vittime e dei carnefici, senza porsi il dubbio, se anche i cosiddetti bruti siano davvero convinti e motivati ad esserlo o forse siano solo pedine sospinte dal vento di un dittatore verso questo destino obbligato.
Da ragazzo in un saggio scolastico, cantai e scoprì la bellissima canzone di De Andrè, La Guerra di Piero, che narra con profonda semplicità le sensazioni orribili dell’essere soldato. Oggi più che in ogni altro momento ho riscoperto la profonda verità di quella canzone.
Lo dimostrano in questi giorni, i prigionieri russi, giovani ragazzini spesso in lacrime e non certo con il portamento del guerriero invincibile.
Ma questa guerra ha certamente un ingrediente diverso, molto distante da tutti i conflitti del passato.
Quello che cambia in questa guerra è l’uso di una parola che sembra diventata di moda ovvero la “narrazione” (o narrativa) della guerra.
Uno storytelling di guerra che passa in primis, da immagini e video a opinioni e cartine con nomi di città ai più sconosciute.
Ascoltando i telegiornali, servizi speciali e pareri di esperti di geopolitica o generali in pensione (che hanno sostituito i virologi) assorbiamo sentenze, opinioni e argomentazioni anche di persone con competenze davvero poco significative che rendono apparentemente “autorevoli” talk show e salotti televisivi.
Ma qualcuno, la differenza la sta facendo in questo compito narrativo e mi collego direttamente a guerre che ci sembrano lontanissime, senza esserlo per la verità.
Sto parlando di chi questa guerra l’ha vista dal vivo e la racconta quotidianamente, perché l’impressione è che vedere un conflitto da vicino possa trasmettere sensazioni che non si potranno cancellare.
Sto parlando dei corrispondenti di guerra che mai come nelle prime settimane del 2022 hanno trovato spazio in tv, radio e giornali.
Le parole possono essere più penetranti, profonde, taglienti delle immagini e ne ho vissuto una prova tangibile con un salto nel tempo che ho vissuto in questi giorni.
In queste settimane ho più volte ascoltato con interesse e stupore alcuni racconti di Lia, mia suocera, che nell’epoca della Seconda guerra mondiale era una bambina.
Lia mi ha raccontato, perché li ricorda nitidamente, i problemi della drammatica ricerca del cibo, la fame prende a braccetto la guerra e lo stiamo imparando in questi giorni.
Aneddoti drammatici narrati da Lia, alcuni dei quali mi hanno colpito come una storia con protagoniste delle scatolette di carne in scatola che venivano nascoste sottoterra per nasconderle ai soldati tedeschi e recuperate periodicamente quando serviva.
Un altro racconto relativo al recupero di un grande sacco di zucchero, divenuto preziosissimo, che fu raccolto tra le macerie di un’industria distrutta da un bombardamento con soldati tedeschi, che seppur nemici, aiutarono alcune donne italiane a caricare lo zucchero su carretti di fortuna.
Ma tra i ricordi di Lia, non mancano quelli della paura per le bombe, rifugi di fortuna, di aerei che sorvolavano quella pianura romagnola intorno a Lugo, dove viveva la famiglia di mia suocera, memorie confluite nella visione dei soldati americani e inglesi che liberarono il nostro Paese.
Sono passati tanti anni, ma i ricordi di quella guerra sono rimasti negli occhi di quella bambina italiana oggi segnata da qualche ruga, ma le cui memorie possono farci capire quanto quei tempi siano sempre d’attualità.
Buonasera,Robert Capa e la sua ragazza Gerda Taro ,sono stati forse i più grandi cronisti di guerra la foto del Miliziano, veramente e qualche cosa di straordinario,poi Capa ed Hemingway, comunque avevano tutti e due,una passione verso la guerra,Capa come Hemingway non riusciva a stare lontano, dai vari conflitti forse questo ha reso,più forte la loro amicizia .